Un antico villaggio Ming e Qing

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Nanshe è un gioiello di epoca Ming, sopravvissuto fino alla nostra epoca, si trova a una sessantina di km da Dongguan.

Nessun autobus ci arriva, occorre un taxi e un poco di fortuna. Lo abbiamo trovato e visitato.
La provincia del
Guangdong è l’area maggiormente sviluppata della Cina e questo significa che è satura d’industrie, attraversata da vecchie e nuove strade, ingolfata dal traffico più eterogeneo che si possa immaginare. Chi vive qui, lavora come un matto e chi è straniero, di solito, non è turista ma uomo d’affari; perciò le destinazioni abituali richieste ad un tassista sono aziende, centri commerciali, poli fieristici, o al massimo un ristorante o una sauna.
Questo antico gioiello, non si sa come sopravvissuto all’avanzata dei caterpillar e, ancor prima, alla furia devastatrice della rivoluzione culturale, nonostante sia segnalato in alcuni siti-web della Cina meridionale, è quasi introvabile. L’autista ne ha sentito parlare, ed ha anche telefonato a più di un collega per chiedere istruzioni, ma ora si è perso ed anche a me, osservando l’interminabile distesa di officine, ciminiere e capannoni, accerchiati da tir, pick-up e carretti trainati da biciclette, non sembra possibile che un antico villaggio possa trovarsi da queste parti.
Ci troviamo negli estesi dintorni di Dongguan, una municipalità che raccoglie decine di agglomerati urbani, disseminati nel delta del Pearl River, un tempo autonomi ed ora inglobati in un’unica megalopoli con più di sette milioni di abitanti.

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La città che assedia i dintorni di Nanshe

Ci fermiamo nella cittadina di Chashan, il tassista è sempre più imbarazzato, ma il conducente di una moto-taxi ci fornisce finalmente l’indicazione giusta.
Arriviamo al piazzale davanti all’entrata, definita da un arco moderno in muratura, sormontato da un grande cartello, e sotto l’ufficio di una biglietteria.
Nessuna coda, dentro, e nemmeno un visitatore. L’annoiata addetta ai biglietti non parla inglese, ma scrupolosa, fornisce subito un depliant a colori, in cinese; davanti al mio sguardo divertito ma smarrito, sospira e mi mette fra le mani una fotocopia con la traduzione inglese.
Il costo dell’ingresso, 30 yuan (circa 3 euro) scandalizza l’accompagnatore cinese che si rifiuta di entrare, nonostante, per essere certo di ritrovarlo con la sua auto, mi offra di pagare anche per lui. Decide di aspettare, all’ombra del
gigantesco ficus che allarga i suoi rami vicino l’ufficio.

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il grande Ficus Banian si specchia nel bacino artificiale

Dentro Nanshe non circolano automobili, solo due o tre motociclette condotte a mano, il resto, biciclette e gente a piedi.
Varcato il cancello si torna indietro nel tempo;
anche gli abitanti sembrano essere gli stessi del periodo Ming. Il visitatore è osservato e studiato come un essere raro da parte di persone, perlopiù anziane e dimesse, che non paiono toccate, nel bene e nel male, dalla furia modernizzatrice che al di là del cancello, sconvolge tutto e tutti.


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Il ponte di pietra che unisce le due parti del villaggio

 Il villaggio in mattoni e pietra è chiuso da mura fortificate, concentrato attorno ad una grande vasca rettangolare sulla cui acqua, appena increspata dai giochi di alcuni bambini, galleggia una barca di legno e si rispecchiano le facciate degli edifici vicini.
Ha un disegno simmetrico, abbracciato da palme e circondato da alberi di mango. Un elegante ponte collega le due rive del bacino artificiale.

 

La dinastia Ming ebbe inizio nel 1368 con Hongwu, ma alla sua morte ebbe inizio una guerra civile per la successione. Guerre e rivolte contadine caratterizzarono tutta la durata della dinastia e fu in questo periodo che iniziarono ad arrivare i primi europei; i portoghesi a Macao, gli inglesi a Canton ed infine i gesuiti che provarono p007_1_03ad evangelizzare il paese.
Proprio durante una delle tante rivolte contadine un ricco signore proveniente dalla provincia di Zhejiang, per sfuggire al caos si spostò al sud e si stabilì a Nanshe.
I discendenti di questa originaria famiglia, gli Xie, costruirono e ingrandirono questo villaggio (che copre un’area di circa 70mila metri quadrati) man mano che si svilupparono le attività economiche e commerciali.
Ora ci sono
25 antichi templi familiari e più di 200 case d’abitazione in stile locale. I vicoli del villaggio sono stati progettati con accorgimenti dettati dal bisogno di sicurezza e di difesa.

 

 

p007_1_05Vi sono resti di mura fortificate, costruite alla morte dell’imperatore Chongzhen, l’ultimo della dinastia Ming; originariamente erano lunghe circa un chilometro, costruite in terra battuta e in pietra rossa.
Nell’insieme
c’erano 21 torri, costruite in mattoni grigi e ciascuna con il proprio stile. Le mura svolsero egregiamente la loro funzione fermando gli invasori, quando Li Wanrong guidò un assedio, durato una settimana, nel 1648 e, più tardi, quando Liu Jin attaccò il villaggio nel decimo anno del regno di Kang Xi (nel 1671). Ora restano solo alcuni passaggi delle vecchie mura ed un paio di torri rimaneggiate.

Gironzolare per questi vicoli fermi nel tempo, è sconcertante. Se all’ingresso ancora arriva il rumore della città e si può vedere qualche antenna Tv o essere raggiunti dal trillo di un cellulare, però, man mano ci s’inoltra i segni dell’attualità scompaiono.
Le poche persone che abitano in questa
enclave sembrano volutamente rallentare i movimenti e rifiutare, quasi come una setta religiosa, la modernità. L’abbigliamento è tradizionale e p007_1_06povero, nessuna ostentazione e nessun interesse per il visitatore, nemmeno la normale curiosità che di solito circonda un occidentale in Cina. L’impressione di disturbare è forte ed allora camminiamo il più silenziosamente possibile calpestando con rispetto le antiche pietre.

 
 
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Fregi in pietra sul tetto della Xie Shi family hall

Basta alzare gli occhi per notare i segni dell’antica arte decorativa: i molti edifici ben conservati, costruiti nella tarda epoca Ming e all’inizio della dinastia Qing, svelano la cura e la dedizione con cui gli antichi abitanti si dedicarono alle loro abitazioni ed ai loro templi.

Le antiche costruzioni sono caratterizzate da vivide sculture in pietra, terracotta, legno laccato e gesso.

Una tipica abitazione è composta da tre stanze e due corridoi. I templi ancestrali più importanti (quello della famiglia Clan, o quello dell’”Uomo centenario”) hanno tre locali, mentre i più piccoli sono composti d

 

a due soli spazi, talmente incastrati nelle abitazioni che li attorniano a corte, da non riuscire a distinguere, dall’esterno, la parte residenziale da quella di culto.
Tra l’altro, anche gli abitanti, contribuiscono all’equivoco, utilizzando alcuni templi per sopperire alla scarsità di spazi comuni: capita così di entrare nel piccolo cortile di un edificio sacro e trovarvi
donne intente al bucato o di scoprire una casa da gioco proprio accanto ad un altare.

 

Si scopre il sapore locale in ambienti fermi nel tempo, fossilizzati forse, non tanto per una precisa scelta di tutela culturale, quanto per quella che pare una fortunata svista del progresso.

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Giocatori di Xiang Qi all’interno del tempio del generale Guan Yu

…e ci si tuffa con piacere nella Cina attesa, quella pensata, immaginata prima del viaggio e finora non ancora incontrata.
Due anziane donne, ancora vestite con la divisa blu, residuo del periodo egualitario della rivoluzione culturale, sono la testimonianza di una vita passata; passeggiano barcollando, come se avessero i piedini fasciati dalla crudele usanza che li rendevano minuscoli, quando il camminare a passi corti e misurati rientrava in un canone di comportamento femminile che valorizzava la grazia e l’equilibrio.

 
 

Fuori dalle mura di Nanshe lo straniero è riverito e coccolato, dentro diventa invisibile…e loro tirano dritto, escludendolo dalla loro vista, come se la sua presenza, scaraventata qui da un futuro a cui non sono interessate, p007_1_10turbasse la loro quieta e immutabile esistenza.

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sulla soglia di casa

– copyright settembre 2006-